L’identità e la differenza tra diritto e giustizia sono una delle più antiche e più grosse questioni filosofiche-giuridiche.
Nel trattato “De legibus” Cicerone spiega l’essenza e l’origine del diritto. Egli afferma che nella legge naturale, unica, irrevocabile ed eterna, superiore ad ogni umana potenza e scolpita nella coscienza stessa del genere umano, è per ogni uomo il criterio di scelta tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto. Il genere umano è nato per la giustizia (nos ad iustitiam esse natos) e per essere partecipe del diritto; e che una vita ispirata ai precetti della giustizia rende gli uomini migliori e li conduce alla perfetta virtù, fonte di ogni bene e superiore ad ogni felicità che essi possano desiderare. e veramente felice sarà colui che, cittadino di un’unica patria e parte di una medesima società universale, dove tutti sono simili tra loro e soggetti ad una stessa legge, saprà sollevarsi sul mondo dei bruti ed esaltare la dignità del proprio essere. Al contrario, le leggi dello Stato, mutevoli e temporanee, possono, essere buone o cattive. Infatti, sarebbe assurdo considerare giusti tutti i principi sanciti nelle istituzioni e nelle leggi dei popoli. Come potrebbero essere mai considerate giuste le leggi dei tiranni? Cicerone conclude con l’elogio dei magistrati, interpreti e voce stessa della legge (dice, infatti, magistratum legem esse loquentem, legem autem mutum magistratum).
Ancora oggi, tuttavia, risulta estremamente difficile rispondere a questa semplice domanda: “che cos’è il diritto?”. Non volendo qui affrontare un problema tanto grave, che lo stesso Kant indicava come il caput mortuum del giurista, risulterà agevole ricordare che il diritto, quale segno distintivo di ogni comunità organizzata, ha la funzione essenziale di stabilire le regole dell’azione dell’uomo nei rapporti sociali con gli altri uomini. La necessità di darsi norme giuridiche nasce, dunque, dalla esigenza primaria di vincere la brutalità.
L’idea della giustizia deve essere la forza ispiratrice del diritto e la legge deve essere illuminata dal senso di giustizia.
Non sempre, però, la legge obbedisce alla giustizia. La legge non è necessariamente giusta e, in qualche caso, non lo è affatto. In pratica, solo nella città ideale, che concretamente non esiste, la legge coincide con la giustizia.
In taluni momenti dell’esperienza storica, infatti, singole norme o addirittura i principi dell’intero sistema appaiono contrastanti con il sentimento che della giustizia ha la coscienza comune. Si pensi alle leggi o alla prassi che inducano o consentano discriminazioni fondate sulla razza, adottando a carico dei soggetti discriminanti misure restrittive della libertà e della capacità personale. A tanto, non si può che rispondere con il rifiuto e la resistenza non solamente contro le singole norme, ma contro l’intero ordine in cui la persona vive.
Ma, in cosa consiste la giustizia? Quali sono i criteri in base a cui si può valutare la giustizia o l’ingiustizia di una norma, di un comportamento o di una situazione?
Quando si esclama: “Non c’è giustizia a questo mondo!”, tutti capiscono che cosa si vuol dire. Eppure “giustizia” è una di quelle parole, come “verità”, di cui è tanto chiaro il valore emotivo quanto oscuro il significato.
Platone nella “Repubblica” afferma che la giustizia consiste in questo: che “ciascuno faccia quello che gli spetta”.
Bisogna essere estremamente cauti nei confronti delle parole “giusto” e “giustizia”, non soltanto per il timore di abusarne e per la sua ricchezza contenutistica, ma soprattutto per l’inarrivabilità in cui si collocano le aspettative in essa riposte e i suoi significati più profondi.
Forse è impossibile racchiudere il concetto di giustizia in termini definitori.
La sua complessità fu avvertita fino dagli albori della mitologia greca, in cui la giustizia appariva ora come Dike, ora come Themi, ora come Metis.
Il riferimento alla concezione della giustizia prevalente in una determinata società è spesso allo stato implicito e si ricava, in realtà, dalle convinzioni diffuse nella società e dalle istituzioni.
La giustizia finisce con l’esprimersi in principi normativi e questi, a loro volta, esigono che, in una determinata situazione, a una persona o ad una categoria di persone sia riservato un trattamento determinato, qualificato come giusto, in quanto tutela uno o più valori (quali, ad esempio, l’uguaglianza, la libertà, il rispetto della persona), che si identificano con la giustizia.
Il concetto di giustizia è strettamente connesso con quello di ordine, di eguaglianza, di equità. Però se, da una parte, si avverte l’esigenza di uguaglianza di trattamento per tutti indistintamente, dall’altra, affiora l’esigenza di distinzione. Si potrebbe giungere a dire che proprio in nome del rispetto dell’uguaglianza occorre a volte trattare per differenze. Per differenze devono intendersi quelle specialità proprie della persona e che appunto distinguono un essere da un altro.
Del resto, non appare interessante né accettabile l’identificazione della giustizia con la mera legalità. Limitarsi ad applicare la legge scritta in modo meccanico e cieco, infatti, è indice di un atteggiamento ottuso o, addirittura, non è nemmeno più diritto.
Così come non è interessante né accettabile una configurazione della giustizia che prescinde dalla conoscenza della realtà e dalle esigenze operative della società. Poiché le aspettative e le esigenze della persona possono mutare, nulla può essere considerato indiscutibilmente giusto e nessuno può pretendere di agire indiscutibilmente secondo giustizia. La giustizia è un bisogno di libertà in continua evoluzione e trasformazione e, quindi, una idealità a cui, però, bisogna, almeno, tentare di avvicinarci.
Emiliana Matrone