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La nomina del commissario ad acta

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Il Consiglio di Stato, nella Decisione 17 ottobre 2008 n. 5055, afferma che l’Amministrazione può continuare nell’esercizio delle proprie potestà fino a che il commissario ad acta non si insedi; la nomina del commissario ad acta, ovvero l’adozione da parte di questi di alcuni atti, o la fissazione di termini ulteriori rispetto a quanto stabilito dal giudice, non priva in assoluto l’Amministrazione del potere di provvedere, la cui attività, peraltro, non deve avere lo scopo di ritardare l’esecuzione del giudicato.
Emiliana Matrone

Consiglio di Stato – Decisione 17 ottobre 2008 , n. 5055
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 9566/2007, proposto dalla società M. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Fortunato con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, in via Seminario 113/116, presso lo studio dell’avv. Lodovico Visone;
contro
l’Ente Parco Nazionale del Cilento e Valle di Diano, in persona del legale rappresentante p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi 12;
e nei confronti
del Comune di Pisciotta, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del TAR della Campania, Sezione II di Salerno, 3 agosto 2006, n. 1131;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente Parco appellato;
visti gli atti tutti della causa;
relatore, alla pubblica udienza del 6 giugno 2008, il Consigliere Paolo Buonvino;
uditi, l’avv. Fortunato per l’appellante e l’avv. dello Stato Rago.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1) – Con il ricorso di primo grado è stato chiesto l’annullamento:
– del provvedimento dell’Ente Parco appellato di cui alla nota prot. n. 5409 del 23 maggio 2005, con il quale è stata negata l’autorizzazione ex artt. 2, 5 e 6 del d.P.R. 5 giugno 1995 e di cui alla legge n. 394/1991 in relazione alla richiesta di rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di un fabbricato rurale alla località “…omissis…” del Comune di Pisciotta;
– del provvedimento dello stesso Ente di cui alla nota prot. n. 3992 del 10 aprile 2006, con il quale è stata nuovamente negata l’autorizzazione ex artt. 2, 5 e 6 d.P.R. 5 giugno 1995 e l. n. 394/1991 in relazione alla predetta richiesta di rilascio del permesso di costruire.
Per il TAR il gravame proposto avverso la citata nota n. 5409 del 2005 doveva essere dichiarato improcedibile per effetto del riesame del citato provvedimento disposto dal medesimo Tribunale con ordinanza cautelare n. 1247 del 10 novembre 2005 e sfociato nell’adozione del provvedimento negativo impugnato con i motivi aggiunti.
Quanto ai motivi ora detti, i primi giudici hanno, poi, ritenuto infondato quello incentrato sul venir meno del potere di provvedere in capo all’amministrazione intimata a seguito della nomina del Commissario ad acta disposta in data 29 marzo 2006 dal Prefetto di Salerno in esecuzione dell’ordinanza dello stesso Tribunale n. 331/2006.
In merito alla censura incentrata sull’omissione della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, ex art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, il TAR ha, poi, ritenuto che la funzione partecipativa alla quale è preordinato l’adempimento in discorso doveva ritenersi assorbita dall’ampia attività difensiva svolta dalla società ricorrente con la proposizione del ricorso avverso l’atto di diniego del 23 maggio 2005, riesaminato mediante il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti.
In ordine, poi, alla censura fondata sulla maturazione del silenzio-assenso in relazione all’istanza presentata dalla società ricorrente, ex art. 13, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, ha rilevato, il TAR, che il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti costituiva adempimento dell’obbligo di riesame sancito con la citata ordinanza cautelare n. 1247/2005, risultando quindi svincolato dal regime temporale (e dai connessi effetti sostanziali) dettato dalla disposizione citata.
In merito, quindi, alla censura volta a lamentare il difetto motivazionale ed istruttorio inficiante il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, i primi giudici hanno ritenuto, per converso, che lo stesso fosse adeguatamente motivato.
2) – Per la società appellante la sentenza sarebbe erronea in quanto:
– contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, il provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, al riguardo apparendo irrilevante la precedente attività defensionale svolta dalla deducente, in quanto attinente ad un precedente differente provvedimento amministrativo, fondato su presupposti e contenuti affatto diversi; nel caso in esame, inoltre, avrebbe dovuto anche essere data comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/1990;
– neppure sarebbe condivisibile l’affermazione secondo cui il provvedimento impugnato costituisce adempimento dell’obbligo di riesame e che sarebbe, per l’effetto, svincolato dal regime temporale (e connessi effetti sostanziali) dettati dalle disposizioni sulla formazione del silenzio-assenso, dall’originaria ricorrente invocata e di cui all’art. 13 della legge n. 394/1991 ed all’art. 8 comma 1, lett. b), del d.p.r. del 5 giugno 1995, a mente dei quali, decorsi (come nella specie) i termini ivi fissati, l’autorizzazione si intende rilasciata;
– sarebbero da disattendere anche le considerazioni dal TAR svolte nel merito del ricorso, il provvedimento impugnato apparendo, alla deducente, affetto dai rilevati vizi di istruttoria e di motivazione; l’opera in progetto (motivatamente assentita, si assume, sia dal Comune che dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali) sarebbe stata, infatti, ampiamente ridotta, volumetricamente, rispetto al progetto originario e la sua presenza, in quanto immersa in un oliveto, non sarebbe percepibile in distanza;
– contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, della fattispecie sarebbe stato, ormai, investito il commissario ad acta nominato dal TAR, sicché l’amministrazione sarebbe stata privata della potestà di pronunciarsi.
Resiste l’Ente Parco appellato.
3) – L’appello è fondato.
Può convenirsi, invero, con i primi giudici nel ritenere che la nomina del commissario ad acta da parte del Prefetto (in esecuzione dell’ordinanza del TAR n. 331 del 2006) non abbia privato l’Amministrazione del potere di provvedere direttamente sull’istanza, nell’esercizio delle proprie potestà ordinamentali, dal momento che il predetto commissario non aveva neppure iniziato, materialmente, a svolgere alcuna attività anche solo preparatoria (acquisizione degli atti etc.); al riguardo è noto, infatti, l’orientamento di questo Consiglio – dal quale non vi è ragione di discostarsi – secondo cui l’amministrazione può continuare nell’esercizio delle proprie potestà fini a che il commissario ad acta; la nomina del commissario ad acta, ovvero l’adozione da parte di questi di alcuni atti, o la fissazione di termini ulteriori rispetto a quanto stabilito dal giudice, non priva in assoluto l’amministrazione del potere di provvedere, la cui attività, peraltro, non deve avere lo scopo di ritardare l’esecuzione del giudicato (cfr., tra le altre, Sezione IV, 10 aprile 2006, n. 1947; VI, 27 aprile 1995/373; IV, 3 luglio 2000, n. 3641).
Sennonché, il TAR non ha tratto, da tale notazione reiettiva, una logica conseguenza per ciò che attiene alla normale applicabilità, nella fattispecie, degli ordinari termini procedimentali; poiché ha correttamente ritenuto che l’amministrazione fosse rimasta titolare dei propri poteri in materia de qua non ostante la nomina del commissario ad acta da parte del giudice amministrativo, la stessa doveva ritenersi, logicamente, tuttora assoggettata agli ordinari principi e termini procedurali stabiliti dall’ordinamento ai fini dell’esercizio dei poteri di cui si tratta; se è vero che la res controversa era stata assoggettata al vaglio del giudice amministrativo, che aveva, ai fini del riesame, investito il commissario ad acta, non è men vero che l’amministrazione abbia esercitato – nel non attendere il parere rimesso al predetto commissario – i propri ordinari poteri e che, quindi, una volta investita dal privato dell’onere di provvedere (notificazione all’Ente Parco, in data 15 novembre 2005, dell’ordinanza 10 novembre 2005, n. 1247, con la quale il TAR, in accoglimento della domanda cautelare avanzata dall’interessato nel ricorso proposto avverso il diniego opposto dallo stesso ente con provvedimento del 23 maggio 2005, ordinava il riesame della domanda), non poteva essa sottrarsi al rispetto degli ordinari termini procedimentali; con la conseguenza che, essendo decorso, dal momento della notificazione di detta ordinanza (15 novembre 2005) a quello del nuovo provvedimento negativo di cui si tratta (10 aprile 2006, n. 3992), un periodo di tempo largamente eccedente rispetto a quello stabilito dall’art. 13, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (giorni sessanta, con la possibilità di proroga di giorni trenta solo in base ad apposita comunicazione scritta da parte dell’Ente, nella specie mancante), deve ritenersi che nella specie si fosse formato, ormai, il silenzio-assenso e, quindi, un tacito provvedimento favorevole alla società interessata; quindi, l’Ente stesso non poteva più esercitare le propria potestà di valutazione della domanda essendosi esaurito il proprio potere di delibarla; donde l’illegittimità del contestato diniego, salva restando soltanto la sua potestà, se e in quanto ne ricorressero i presupposti e nel rispetto della disciplina normativa al riguardo, di procedere, in via di autotutela, all’annullamento del provvedimento consolidatosi attraverso il silenzio-assenso.
Ulteriore forma di illegittimità è, poi, dato riscontrare nella violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990; trattandosi di provvedimento ad istanza di parte, non è configurabile, invero – al contrario di quanto dedotto dall’originaria ricorrente e odierna appellante – la violazione dell’art. 7 della legge stessa, sulla comunicazione dell’avvio del procedimento; ma, per ciò che attiene all’onere procedimentale di cui all’art. 10 bis anzidetto, la P.A. non poteva legittimamente sottrarsi al relativo onere, non vertendosi, del resto, in tema di atti d’urgenza, riservati o vincolati; donde l’illegittimità, anche sotto tale profilo, del provvedimento impugnato.
4) – Per tali assorbenti motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento dell’originario ricorso, va annullato il provvedimento impugnato in primo grado.
Sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in accoglimento dell’originario ricorso, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2008.

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