Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la Sentenza 10 marzo 2022 n. 7877, nell’occuparsi di una questione di massima importanza, hanno chiarito che il reclamo di cui al comma 3 dell’art. 630 c.p.c. non è atto c.d. endoprocessuale e, pertanto, non è soggetto alla disciplina dell’obbligatorio deposito telematico.
Nel caso specifico, il Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Lamezia Terme, con ordinanza del 26.08.2016, aveva dichiarato l’estinzione della procedura esecutiva immobiliare ai sensi del comma 2 dell’art. 630 cpc, ordinando la cancellazione del pignoramento.
Avverso tale ordinanza il creditore procedente aveva proposto reclamo ai sensi del comma 3 dello stesso art. 360 cpc.
I debitori esecutati, nel contestare detto reclamo, ne avevano eccepito, tra l’altro, l’inammissibilità perchè il reclamo non era stato depositato telematicamente.
Il Collegio del Tribunale di Lamezia Terme accoglieva il reclamo e, conseguentemente, revocava la pronuncia di estinzione della procedura esecutiva.
I debitori proponevano appello, cui resisteva il creditore.
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 19.12.2018, respingeva l’appello.
Con particolare riguardo al motivo concernente l’inammissibilità del reclamo avverso l’ordinanza di estinzione, perché proposto in cartaceo e non telematicamente, la Corte d’Appello territoriale affermava quanto segue: «Sebbene il reclamo abbia natura di atto endoprocessuale, esso instaura una fase incidentale di cognizione nell’ambito del processo di esecuzione, in tal modo introducendo un nuovo procedimento che viene autonomamente iscritto a ruolo. Di conseguenza deve ritenersi che per tale tipologia di atto la sua presentazione in forma telematica sia facoltativa… In ogni caso, in assenza di una espressa comminatoria di inammissibilità ed in base al principio di conservazione degli atti nulli, la relativa nullità è sanata dal raggiungimento dello scopo dell’atto, posto che il reclamo, sebbene espresso in forma cartacea, ha parimenti consentito la regolare instaurazione del contraddittorio».
I debitori proponevano ricorso in cassazione ed il creditore resisteva con controricorso.
Con ordinanza del 21 luglio 2021, la Terza Sezione della Suprema Corte disponeva trasmettersi gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, prospettando il ricorso una questione di massima di particolare importanza.
In pratica, l’ordinanza, che rimetteva gli atti al Primo Presidente, poneva un duplice quesito e cioè: a) se il reclamo di cui al comma 3 dell’art. 630 c.p.c. abbia o meno natura di atto endoprocessuale; b) per l’ipotesi di risposta affermativa al primo interrogativo, quali siano le conseguenze del deposito cartaceo dell’atto, come nella specie, in luogo di quello telematico.
Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, richiamano l’art. 16-bis del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, sotto la rubrica: «Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali», il quale al comma 1 stabilisce che: «… nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici…».
Inoltre, richiamano il comma 2 del medesimo articolo, secondo il quale: «Nei processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile la disposizione di cui al comma 1 si applica successivamente al deposito dell’atto con cui inizia l’esecuzione…».
Orbene, il comma 1 della citata norma, nello stabilire che «il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche», scolpisce la regola dell’obbligatorietà del deposito telematico degli atti cd. endoprocessuali, mentre per le parti non precedentemente costituite vale – tralasciando le disposizioni sul deposito telematico dettate per far fronte alla pandemia, e fintanto che non entrerà in vigore la riforma in corso del codice di rito – la regola dell’alternatività, a scelta dell’interessato, tra il deposito telematico e quello cartaceo, in forza del comma 1-bis dello stesso art. 16-bis, secondo cui: «Nell’ambito dei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione innanzi ai tribunali e… alle corti di appello è sempre ammesso il deposito telematico di ogni atto diverso da quelli previsti dal comma 1».
Risulta palese che al fine di individuare gli atti c.d. endoprocessuali, «nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale», la norma al comma 1 distingue a seconda che «le parti», munite del difensore, siano o meno «precedentemente costituite».
A questo punto, le Sezione Unite si soffermano sul concetto della costituzione in giudizio, ed in particolare evidenziano che la costituzione in giudizio, non definita dal codice di rito, ma menzionata anzitutto agli artt. 165 e 166 c.p.c., è – intesa nel significato suo proprio – atto formale mediante il quale, per mezzo degli adempimenti di volta in volta richiesti, si concretizza il rapporto tra la parte che si costituisce ed il giudice, allo scopo di rendere possibile il dispiegamento del contraddittorio, di regola, per l’intero corso del grado.
La parte che non si costituisce, e che cioè non pone in essere la formalità necessaria e sufficiente per determinare la propria presenza legale nel processo, secondo quanto stabilisce l’art. 171, comma 3, c.p.c., è dichiarata contumace.
Mentre, la costituzione in giudizio, così come espressamente disciplinata dal codice di rito, è dunque formalità collegata alla contumacia, e che non trova perciò applicazione laddove non sia prevista dalla legge e non sia correlativamente contemplato il procedimento in contumacia.
Tale osservazione induce a ritenere che l’espressione «parti precedentemente costituite», contenuta nel comma 1 dell’art. 16-bis, non possa essere intesa come riferita soltanto alla nozione di costituzione in giudizio in senso tecnico cui si è appena accennato.
Ciò deriva chiaramente dalla considerazione che il comma 1 della disposizione definisce il proprio ambito di applicazione circoscrivendolo ai «procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione». Per le Sezioni Unite, quest’ultima dicitura, peraltro imprecisa, giacché sembra supporre, con la disgiuntiva «o», che i procedimenti di volontaria giurisdizione abbiano perciò stesso natura non contenziosa, il che certo non è, testimonia che la costituzione cui la norma allude non può essere quella in mancanza della quale si determina la contumacia della parte non costituita, dal momento che una simile nozione di costituzione, prima indicata, non si attaglia, per certo, tra gli altri, ai procedimenti volontari, tanto più se non contenziosi.
A tanto deve aggiungersi che l’art. 16-bis, nel suo complesso, reca, oltre alla previsione di portata generale del comma 1, ulteriori disposizioni concernenti i «processi esecutivi», nei quali il deposito telematico «si applica successivamente al deposito dell’atto con cui inizia l’esecuzione» (comma 2), le «procedure concorsuali», nelle quali il deposito telematico è obbligatorio esclusivamente per l’organo che gestisce la procedura (comma 3), i «procedimenti giudiziali diretti all’apertura delle procedure concorsuali» (comma 4-bis).
Le Sezioni Unite ritengono che «se si leggesse il comma 1 nel senso che esso recepisce la nozione di costituzione in senso tecnico, e lo si coniugasse con le previsioni degli ulteriori commi ora richiamati, si finirebbe per ammettere che l’art. 16-bis nulla dispone quanto al deposito telematico in una larga parte di procedimenti anche contenziosi disciplinati dal codice di procedura civile, che non prevedono specificamente l’adempimento della costituzione – basti pensare, a mero titolo di esempio, che nessuna disciplina della costituzione il codice di rito detta per i procedimenti cautelari, e che non può discorrersi di una costituzione del ricorrente in monitorio, come pure nel giudizio di legittimità, attesa la sua connotazione officiosa che non contempla la contumacia dell’intimato – e neppure sono riconducibili al ristretto ambito coperto da dette previsioni aggiuntive, concernenti le esecuzioni e le procedure concorsuali».
Ecco che, con l’espressione «parti precedentemente costituite», il comma 1 dell’art. 16-bis si riferisce non soltanto all’atto di costituzione in senso tecnico, ma anche, più in generale, alla acquisizione della veste di parte in senso formale nel procedimento incardinato dinanzi al giudice adito, veste che, almeno in senso lato, compete a ciascuna parte in qualunque procedimento destinato a svolgersi dinanzi al tribunale.
Quindi, le Sezioni Unite soggiungono che «una volta che le parti sono entrate in contatto con il giudice, a mezzo del loro primo atto, che può a discrezione delle medesime essere depositato telematicamente o in cartaceo, ogni deposito successivo deve essere obbligatoriamente telematico, fintanto che il rapporto parti-giudice non debba essere nuovamente instaurato, o perché la parte non è più la stessa, o perché non è più lo stesso il giudice».
L’art. 630, comma 3, c.p.c., stabilisce che: «Contro l’ordinanza che dichiara l’estinzione ovvero rigetta l’eccezione relativa è ammesso reclamo da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti nel termine perentorio di venti giorni dall’udienza o dalla comunicazione dell’ordinanza e con l’osservanza delle forme di cui all’art. 178 terzo, quarto e quinto comma. Il collegio provvede in camera di consiglio con sentenza».
Per le Sezione Unite il rinvio al comma 3 dell’art. 178 c.p.c. è da ascriversi ad un difetto di coordinamento. L’inciso «da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti nel termine perentorio di venti giorni dall’udienza o dalla comunicazione dell’ordinanza e» è stato inserito nella norma dall’art. 2, comma 3, lett. e), del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni in l. 14 maggio 2005, n. 80. Il che taglia fuori il comma 3 dell’art. 178 c.p.c. secondo cui: «Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni, decorrente dalla pronuncia della ordinanza se avvenuta in udienza, o altrimenti decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza medesima».
Si considerano invece vivi i rinvii ai commi 4, secondo cui: «Il reclamo è presentato con semplice dichiarazione nel verbale d’udienza, o con ricorso al giudice istruttore», e 5, secondo cui: «Se il reclamo è presentato in udienza, il giudice assegna nella stessa udienza, ove le parti lo richiedano, il termine per la comunicazione di una memoria, e quello successivo per la comunicazione di una replica. Se il reclamo è proposto con ricorso, questo è comunicato a mezzo della cancelleria alle altre parti, insieme con decreto, in calce, del giudice istruttore, che assegna un termine per la comunicazione dell’eventuale memoria di risposta. Scaduti tali termini, il collegio provvede entro i quindici giorni successivi».
Infine, si precisa che il reclamo di cui all’art. 630, comma 3, c.p.c. è sopravvissuto alla novella introdotta dal d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, che attribuisce la competenza per le cause di esecuzione forzata al giudice dell’esecuzione in funzione di giudice unico, in combinazione con l’art. 178, comma 2, c.p.c. a norma del quale l’ordinanza del giudice istruttore che non operi in funzione di giudice unico quando dichiara l’estinzione del processo è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio (Cass. 1° luglio 2005, n. 14096).
È di tutta evidenza che il reclamo di cui all’art. 630, comma 3, c.p.c. è un procedimento peculiare sia per le modalità di proposizione, sia per la previsione della decisione con sentenza, appellabile secondo le regole generali.
Secondo il ragionamento logico-argomentativo delle Sezioni Unite, «quando la parte che vi ha interesse chiede una decisione sull’estinzione del processo esecutivo e propone reclamo contro l’ordinanza che dichiara l’estinzione o rigetta la relativa eccezione…, il reclamo apre un giudizio sul contrapposto interesse sostanziale dei creditori e del debitore a conseguire il risultato utile dell’espropriazione ovvero a riottenere la libera disponibilità dei beni pignorati o di quanto è stato ricavato dalla loro espropriazione, come si ricava dalle norme che regolano gli effetti dell’estinzione del processo esecutivo» (così la citata Cass. 1° luglio 2005, n. 14096)».
Tale procedimento, avendo natura cognitiva, si colloca al di fuori dei «processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile», cui si riferisce il comma 2 dell’art. 16-bis, e, pertanto, il regime del deposito telematico va desunto dalla regola generale posta dal comma 1 della disposizione.
In ragione di tanto, «attesa la natura cognitiva del procedimento, che si dipana sullo sfondo dell’esecuzione forzata, ma del tutto al di fuori di essa, palesando una chiara natura impugnatoria – ché, se esso non è proposto nei termini previsti, la decisione già adottata in punto di estinzione si stabilizza – tale da determinare una netta cesura tra la fase esecutiva e quella cognitiva, deve aversi per certo che la proposizione del reclamo in discorso non sia riconducibile al novero degli atti endoprocessuali».
Occorre, però, considerare che — posto che la nozione di costituzione, cui si riferisce l’art. 16-bis, è nella specie evidentemente fuori gioco, e considerato che non vi è una immutazione delle parti — per effetto del reclamo, «si instaura una nuova relazione parti-giudice, tale [da] ricondurre il reclamo medesimo al novero degli atti introduttivi sottratti alla disciplina dell’obbligatorio deposito telematico».
Da tanto deriva ovviamente che «al momento del reclamo, il rapporto tra le parti ed il giudice chiamato a decidere su di esso non si è ancora instaurato, atteso che lo stesso, pur rivolto al giudice dell’esecuzione, è tuttavia deciso dal collegio ai sensi dell’art. 630, comma 3 (Cass. 19 febbraio 2003, n. 2500): è solo col reclamo, dunque, che il reclamante entra per la prima volta in contatto col collegio».
Le Sezioni Unite concludono, quindi, nel senso che «il reclamo di cui al comma 3 dell’art. 630 c.p.c. non è atto c.d. endoprocessuale soggetto alla disciplina dell’obbligatorio deposito telematico».