Nel nostro ordinamento giuridico non esiste una definizione di “comunione ereditaria”. Essa viene normalmente ricavata da quella dettata dall’art. 1100 cc per la comunione cd. “ordinaria”, definita come quella situazione in cui “la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone”.
La peculiarità della comunione ereditaria deriva dal fatto che essa ha ad oggetto i beni che componevano il patrimonio del de cuius e si costituisce ipso iure tra gli eredi quando, a seguito dell’apertura di una successione mortis causa, vi siano una pluralità di chiamati all’eredità ed una pluralità di accettazioni (espresse o tacite).
La comunione ereditaria si caratterizza per essere indipendente dalla volontà dei chiamati all’eredità e va annoverata tra le comunioni “incidentali”, sorgendo per il verificarsi del mero “fatto giuridico” della pluralità di acquisti della medesima eredità.
A differenza della comunione ordinaria, che può avere ad oggetto solo diritti reali, ma non quelli personali, la comunione ereditaria comprende anche i crediti del de cuius.
Non fanno parte, invece, della comunione ereditaria i debiti del defunto, i quali si ripartiscono automaticamente tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote ereditarie.
Ogni comunione è “transitoria” in quanto può cessare in ogni momento ed, infatti, ciascun partecipante può chiederne lo scioglimento (cd. “divisione”), anche in disaccordo con gli altri comunisti.
La divisione può essere “contrattuale”, quando è conseguita attraverso l’accordo tra tutti i partecipanti alla comunione; oppure “giudiziale”, quando è disposta dal giudice a seguito dell’azione di divisione esercitata da uno dei comunisti.
Sul tema, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la recentissima Sentenza del 07.10.2019, n. 25021, nel pronunciarsi su una questione di massima di particolare importanza, enunciano una serie di principi di diritto che vengono di seguito sintetizzati.
Innanzitutto, il Collegio afferma che: “Gli atti di scioglimento delle comunioni relativi ad edifici, o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dall’art. 40, secondo comma, della legge n. 47 del 1985 per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata della legge n. 47 del 1985 dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ovvero ai quali non sia unita copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell’opera è stata iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967”.
Le Sezioni Unite, dunque, chiariscono che lo scioglimento della comunione deve ritenersi ricompreso tra gli atti tra vivi per i quali l’art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 commina la sanzione della nullità.
Infatti, a sostegno di tanto, si è osservato che l’art. 40, comma 2, della menzionata legge, individua gli atti oggetto della comminatoria di nullità “in modo ellittico e sintetico” avendo riguardo solo al loro “oggetto”, richiedendo cioè che si tratti di “atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (…) relativi ad edifici o loro parti”.
Tale espressione, sul piano logico-semantico, risulta comprensiva di tutti gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici, qualunque effetto giuridico abbiano.
In tale formula sono ricompresi certamente gli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto edifici o loro parti e non vi sono ragioni per escludere, sul piano dell’interpretazione letterale, gli atti di scioglimento della comunione se e in quanto aventi ad oggetto edifici o loro parti.
Invero, non potrebbe comprendersi perché dovrebbe essere vietata la compravendita di un immobile abusivo e non sanabile e ritenersi, invece, consentito lo scioglimento della comunione relativamente a immobile abusivo e non sanabile.
Restano fuori dal campo di applicazione dell’art. 40, comma 2, della richiama legge, gli atti mortis causa e, tra quelli inter vivos, gli atti privi di efficacia traslativa reale (ossia quelli ad effetti meramente obbligatori), gli atti costitutivi, modificativi o estintivo di diritti reali di garanzia o di servitù (espressamente esclusi dalle richiamate disposizioni) e gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali (artt. 46, comma 5, del DPR n. 380 del 2001 e 40, commi 5 e6, della legge n. 47 del 1985).
Le Sezioni Unite, allora, si interrogano sulla diversa questione se nel novero degli atti tra vivi, per i quali l’art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, commina la sanzione della nullità, possa includersi solo l’atto di scioglimento della comunione ordinaria, dovendo ritenersi l’atto di divisione della comunione ereditaria un negozio assimilabile agli atti mortis causa, ovvero debba includersi anche l’atto di scioglimento della comunione ereditaria da qualificarsi invece come negozio inter vivos.
Orbene, secondo un preesistente orientamento giurisprudenziale “l’atto di scioglimento della comunione ereditaria è un negozio assimilabile agli atti mortis causa, come tale sottratto alla disciplina della legge n. 47 del 1985”. Si affermava, in proposito, che “la nullità prevista dall’art. 17 della legge n. 47 del 1985 deve ritenersi limitata ai soli “atti tra vivi”, rimandando esclusa, quindi, tutta la categoria degli atti mortis causa e di quelli non autonomi rispetto ad essi, tra i quali deve ritenersi compresa la divisione ereditaria” (Cass. 15133/201; Cass. 2313/2010).
Le Sezione Unite, invece, con la sentenza citata sopra, si discostano nettamente dal prefato orientamento della Corte, sostenendo che non vi sono valide ragioni per ritenere che lo scioglimento della comunione ereditaria sia sottratto alla comminatoria di nullità di cui agli art. 46 d.p.r. n. 380 del 2001 e 40 legge n. 47 del 1985.
Ciò perché, sul piano dell’interpretazione letterale della legge, secondo il “significato proprio delle parole” (art. 12, primo comma, prima parte, delle preleggi), emerge che è la legge stessa che commina espressamente la nullità dell’atto di scioglimento della comunione che abbia ad oggetto edifici abusivi, senza distinguere in alcun modo tra scioglimento della comunione ordinaria e scioglimento della comunione ereditaria.
Per il principio “ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus”, lo scioglimento della comunione ereditaria deve ritenersi sottoposto al medesimo trattamento giuridico previsto per lo scioglimento della comunione ereditaria, e ciò anche con riguardo alla comminatoria di nullità.
Peraltro, il fenomeno divisorio ha carattere unitario, tanto che la disciplina dettata del codice civile per la divisone ereditaria si applica anche allo scioglimento della comunione ordinaria in quanto compatibile (art. 116 cc) e che, persino, l’effetto retroattivo previsto per la divisione ereditaria vale anche per le divisioni dei beni comuni.
L’inclusione degli atti di scioglimento della comunione ereditaria relativa a fabbricati abusivi tra quelli colpiti da nullità, del resto, appare conforme alla ratio della legge e con la scelta del Legislatore di contrastare gli abusi edilizi mediante sanzioni civilistiche che colpiscano la negoziabilità dell’immobile.
Le Sezioni Unite, sulla scorta di tale percorso logico-argomentativo, enunciano il seguente principio di diritto: “Gli atti di scioglimento della comunione ereditaria sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità, prevista dall’art. 46, comma 1, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (già art. 17 della legge 28 febbraio 1985, n. 47) e dall’art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici o a loro parti dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria”.
Le Sezioni Unite soggiungono che “essendo la regolarità edilizia del fabbricato posta a presidio dell’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio, la carenza della documentazione attestante tale regolarità è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio; parimenti, è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, il mancato esame di tale documentazione da parte del giudice”.
In conclusione, si afferma il principio per cui “Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall’art. 46 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 e dall’art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 cc, sotto il profilo della possibilità giuridica, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”.
Quanto alla questione circa la possibilità di una “divisione parziale” dei beni ereditari sia per via contrattuale e sia per via giudiziale, la Suprema Corte ha dato risposta affermativa (Cass. SS UU, 1323/1978; Cass. 6931/2016).
In verità, tale scelta potrebbe apparire in contrasto con il principio della cd “universalità” della divisione ereditaria, in forza del quale la divisione dell’eredità deve comprendere, di norma, tutti i beni facenti parte dell’asse ereditario.
Com’è noto, a differenza dello scioglimento della comunione ordinaria, lo scioglimento della comunione ereditaria si presenta per sua natura universale, nel senso che deve comprendere tutte le situazioni giuridiche facenti parte dell’asse ereditario.
Tuttavia, il principio dell’universalità della divisione ereditaria non è assoluto e inderogabile, in quanto, oltre a trovare eccezioni legislativamente previste (artt. 713, comma 3; 720; 722; 1112 cc), può essere derogato dall’accordo unanime dei condividenti.
Lo stesso art. 762 cc, stabilendo che l’omissione di uno o più beni dell’eredità non determina la nullità della divisione, ma comporta solo la necessità di procedere ad un supplemento della stessa, sancisce, implicitamente, la piena validità ed efficacia della divisione parziale.
I beni non divisi rimangono in comunione.
Alla luce di tanto, deve ritenersi ammissibile la divisione giudiziale parziale dell’esse ereditario con esclusione del fabbricato abusivo.
L’esclusione del fabbricato abusivo rende l’atto di scioglimento conforme al disposto degli artt. 46 del d.p.r. 380/2001 e 40, comma 2, della legge 47/1985 e lo sottrae alla comminatoria di nullità ivi prevista.
Il giudice, perciò, non può sottrarsi al dovere di procedere alla divisione parziale con esclusione del fabbricato abusivo, quando uno dei coeredi abbia proposto domanda in tal senso, e ciò “anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti”.
Nell’ipotesi in cui nel patrimonio del de cuius vi sia un fabbricato abusivo e uno dei coeredi limiti la domanda di divisione ai beni diversi dall’edificio abusivo, questi non compie una scelta di convenienza, ma si adegua semplicemente al disposto degli artt. 46 del d.p.r. 380/2001 e 40 della legge 47/1985, che vietano lo scioglimento della comunione relativa ad un tale immobile, per il quale non è possibile indicare nell’atto gli estremi del titolo abilitativo (inesistente).
In siffatta ipotesi, dunque, non vi è ragione di dar rilievo alla volontà degli atri coerenti, convenuti nel giudizio di divisone, e di consentire loro di opporsi alla domanda di divisione parziale.
Diversamente opinando, ne risulterebbe illogicamente compresso il diritto potestativo spettante ad ogni coerede di ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria dei beni per i quali essa è giuridicamente possibile.
In conclusione, viene enunciato il seguente principio di diritto: “Allorquando tra i beni costituendi l’asse ereditario ci siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi dell’art. 713, primo comma, cc, di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l’intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti”.
Infine, le Sezioni Unite puntualizzano che la divisione “endoesecutiva” e quella “endoconcorsuale” sono sottratte alla comminatoria di nullità prevista per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, enunciando il principio di diritto secondo il quale “In forza delle disposizioni eccettuative di cui all’art. 46, comma 5, del d.p.r. n. 380 del 2001 e all’art. 40, commi 5 e 6, della legge n. 47 del 1985, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell’ambito dell’espropriazione di beni indivisi (divisione cd “endoesecutiva”) o nell’ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione cd “endoconcorsuale”) è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dall’art. 46, comma 1, del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 e dall’art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47”.